Informazione e guerra sono da sempre profondamente legate tra loro: l’informazione è comunicazione della guerra, ma è anche comunicazione in guerra, la ricerca di dati sensibili che possano garantire un netto vantaggio sul nemico. Carlo Jean ha parlato di informazione come “moltiplicatore di potenza”: informazione, nel Terzo Millennio, è arma e terreno stesso di scontro, il web è teatro di attacchi e contrattacchi, semplici virus da computer sono in grado di paralizzare e preoccupare interi Stati i quali, a fianco dei tradizionali eserciti di professionisti in divisa, cominciano a valutare l’ipotesi di schieramento di truppe di hacker (spesso poco più che ragazzi), capaci di mandare in tilt i sistemi informatici del nemico. La geostrategia globale deve dunque prepararsi ad affrontare le “nuove guerre” e, con esse, nuovi paradigmi e nuove dottrine geopolitiche.
Definire l’Information Warfare
Entrando nel vivo del XXI secolo, ritorna spesso la nozione di “guerre moderne” e, andando ad approfondire la tematica, ci si rende conto di come ci sia un concetto particolarmente ricorrente, divenendo oggetto di studi, analisi ed approfondimenti da parte sia dei teorici di geopolitica sia del mondo della difesa e degli studi strategici: ci si riferisce al cosiddetto Information (based) Warfare.
L’ex Sottosegretario alla Difesa americana e supervisore del settore C4 (Comando, Controllo, Comunicazioni e Computer), Emmet Pajge, ha definito l’Information Warfare come quelle «azioni poste in essere per conquistare la superiorità dell’informazione a supporto delle strategie militari nazionali, andando a colpire l’informazione e i sistemi militari avversari e provvedendo a proteggere e difendere i propri sistemi e informazione» (cfr. Rapetto e Di Nunzio, Le nuove guerre, 2001). Tale definizione viene compendiata dallo “US Army Field Manual (FM) 100-6, Information Operations”, che contempla anche «la protezione e la difesa di tutti i processi e flussi basati sull’informazione».
Non mancano le “definizioni operative”, quelle, cioè, che puntano a sottolineare vantaggi e svantaggi dell’uso concreto di tale approccio. Ad esempio, l’Information Resources Management College ha definito l’Information Warfare «una metodologia di approccio al conflitto armato, imperniata sulla gestione e l’uso dell’informazione in ogni sua forma e a qualunque livello, allo scopo di assicurarsi il decisivo vantaggio militare» (cfr. Rapetto e Di Nunzio, op.cit.). Più precisamente, secondo lo US Joint Staff, «è quell’azione intrapresa per raggiungere la superiorità di informazione a sostegno della sicurezza nazionale, andando ad influire sulle informazioni del nemico, sui sistemi informativi e sui network computerizzati, e, contemporaneamente, rinforzando e proteggendo le proprie informazioni, i propri sistemi informativi e i propri network computerizzati» (cfr. Bellamy, What is Information Warfare?, 2001).
L’avvento della “Terza Ondata”: elementi distintivi
Trovare una definizione unanimemente condivisa è tuttavia piuttosto difficile, in quanto vige un certo scetticismo circa l’efficacia, se non addirittura l’esistenza stessa, dell’Information Warfare. Questo perché siamo ancora agli inizi di quella che i Toffler hanno definito “la Terza ondata”, vale a dire l’avvento dell’Era dell’Informazione. Gli elementi principali che la caratterizzano, spesso combinati ed interagenti tra di loro, sono comunque già facilmente identificabili e possono essere così sintetizzati: 1) semiconduttori avanzati, 2) computer, 3) fibre ottiche, 4) tecnologia cellulare, 5) satelliti, 6) network, 7) crescente interazione uomo-computer, 8 ) trasmissione e compressione digitale dei dati, qualunque sia l’attività o l’ambito di riferimento.
Presa singolarmente, ogni categoria è in grado di incrementare notevolmente le capacità dell’uomo di comunicare, superando gli ostacoli rappresentati essenzialmente dalle distanze spazio-temporali e dalla diversità di linguaggi e culture; combinate insieme, queste categorie hanno un impatto decisivo non solo sul piano militare, ma anche su tutte le attività umane quotidiane. Questo perché esse favoriscono una maggiore velocità nella trasmissione e gestione delle informazioni, la possibilità di scambiare pacchetti di dati sempre più pesanti – e, dunque, completi – e, soprattutto, esse permettono la cosiddetta “democratizzazione” dell’informazione: le nuove tecnologie, cioè, hanno ampliato i canali e le possibilità di accesso ai sistemi informatizzati e di informazione, che possono dunque essere usati e gestiti da un numero sempre maggiore di utenti.
Ne consegue che i principali paradigmi geopolitici stanno ormai cambiando ed il coinvolgimento di concetti come “informazione”, “sistemi informativi” e “network” fa sì che la guerra in sé non sia più limitata solamente all’ambito militare propriamente detto, ma stia diventando più “globalizzata”, andando ad intaccare anche altri ambiti della vita umana, dall’economia alla cultura, alle mode ed abitudini dei giovani del XXI secolo.
Nuovi paradigmi organizzativi: il Network-centric Warfare
A cambiare è innanzitutto il paradigma organizzativo e network è la parola d’ordine: la Rivoluzione dell’Informazione ha incrementato l’importanza di tutte le forme di network, da quelle sociali a quelle economiche, da quelle delle comunicazioni a quelle delle istituzioni (che stanno assumendo sempre più strutture a rete, piuttosto che gerarchizzate). Una delle conseguenze dell’Era dell’Informazione, infatti, è proprio l’erosione delle gerarchie e dei confini classici entro cui sono state costruite le varie istituzioni nel corso della storia.
Una struttura a rete, inoltre, rende sempre più difficile e complessa la distinzione tra contesto esterno e contesto domestico: oggi, come mai prima d’ora, le minacce alla sicurezza interna di uno Stato possono (e devono) essere lette anche come potenziali segnali d’allarme di una più ampia minaccia esterna. I concetti di “crimine” e “guerra” si intrecciano sempre di più, fino ad offuscare significati e dettagli distintivi: si pensi, a titolo esemplificativo, a come spesso il traffico di droga venga collegato al finanziamento di attività terroristiche, rendendo così la lotta contro i traffici di droga un elemento fondamentale della lotta globale al terrorismo.
Ne consegue che al concetto di Information Warfare si affianca quello di Network-centric Warfare: da un lato, l’informazione diventa sia obiettivo sia strumento, dall’altro, le strutture e le istituzioni coinvolte sono sempre meno gerarchizzate. Secondo la definizione dell’Ufficio per la Trasformazione delle Forze del Pentagono, «Il Network-centric Warfare rappresenta un potente insieme di concetti riguardanti il combattimento in guerra e associati alle capacità militari che permettono ai combattenti di ottenere pieno vantaggio da tutte le informazioni disponibili e sfruttarle in modo rapido e flessibile. I principi del Network-centric Warfare sono così sintetizzabili: una forza con una struttura a network, che migliora lo scambio di informazioni; questo scambio, a sua volta, accresce la qualità dell’informazione e diffonde un maggiore senso di consapevolezza della situazione in cui si è coinvolti; tale consapevolezza favorisce la collaborazione e la sincronizzazione, aumentando la sostenibilità e la velocità dei comandi; tutto ciò, a sua volta, incrementa considerevolmente l’efficacia delle missioni» (Luddy, The challenge and promise of Network-centric Warfare, 2005).
Martin Libicki e le “nuove guerre”
Molti analisti hanno studiato (e continuano tuttora a farlo) le conseguenze che la nuova Era dell’Informazione e del Network-centric Warfare avranno sulla condotta delle operazioni militari, ed il risultato è stata, come si accennava all’inizio, la formulazione di una serie di “nuove guerre”, che dovrebbero caratterizzare nel futuro prossimo il mondo militare ed il modo di condurre le operazioni. La categorizzazione che viene ripresa più o meno da tutti gli esperti è quella proposta dal professor Martin C. Libicki dell’Institute for National Strategic Studies, il quale identifica ben sette forme di Information Warfare: vediamo di analizzarle una per una, integrando ciascuna categoria con definizioni, concetti correlati ed eventuali esempi.
1. Command-and-Control Warfare (C2W): ha come obiettivo principale i centri C2 (Comando e Controllo) del nemico. Il concetto di C2 indica la capacità dei comandanti militari di gestire e coordinare le forze schierate sul campo. Nell’era dell’Information Warfare, al concetto di C2 viene affiancato quello di C4 (Comando, Controllo, Comunicazione e Computer): questo per sottolineare l’importanza delle comunicazioni nella fase di coordinamento delle forze, comunicazioni che, oggi, avvengono sempre più grazie a e per mezzo di sistemi computerizzati. Le due principali attività del C2W sono l’antihead, che punta a colpire la testa del nemico, e dunque il centro di comando, e l’antineck, che mira invece al collo, andando cioè ad interrompere le comunicazioni tra il comando e le forze del nemico. A nostro avviso, considerato quanto affermato in precedenza relativamente al concetto di network e alle strutture sempre più a rete e meno gerarchizzate, è molto probabile che si assisterà principalmente ad attività antineck, combinate con altre forme di guerra, prime fra tutte l’Hacker Warfare e l’Electronic Warfare.
2. Intelligence-based Warfare: mira alla protezione o distruzione, a seconda dei casi, dei sistemi che consentono di ottenere informazioni strategicamente vitali. L’importanza dell’intelligence militare è storicamente nota, basti pensare alla massima di Sun Tsu «conosci il nemico come conosci te stesso». I servizi di informazione conducono una guerra parallela a quella combattuta sul campo di battaglia, cercando (oggi grazie soprattutto alle moderne tecnologie informatiche e satellitari) informazioni utili per le proprie forze e bloccando un deflusso contrario, verso l’avversario. Il tutto per assicurarsi quella superiorità cognitiva in grado di agire come vero e proprio “moltiplicatore di potenza”.
3. Electronic Warfare: sfrutta essenzialmente tecniche radioelettroniche e di crittografia. Non si ritiene opportuno addentrarsi qui in specificazioni tecniche, è tuttavia sufficiente menzionare le cosiddette Active Denial Technologies per esemplificare questa tipologia di combattimento: queste tecnologie rientrano nella categoria delle “armi non letali” e si basano essenzialmente su impulsi elettromagnetici di potenza variabile, in grado di bloccare l’avanzata del nemico ancora a lunga distanza. Armi, queste, che stanno prendendo piede soprattutto nella lotta alla pirateria marittima, evitando così lo scontro diretto e, dunque, riducendo il pericolo di vittime.
4. Psychological Warfare, la cosiddetta “conquista dei cuori e delle menti”, ossia l’uso dell’informazione per plasmare a proprio vantaggio le opinioni e le menti, sia sul fronte interno che su quello esterno (nemico o neutrale). È la classica guerra psicologica, combattuta principalmente a suon di propaganda ed altre azioni volte a influenzare le opinioni, le emozioni e gli atteggiamenti di un gruppo “obiettivo”, che può essere sia amico, sia nemico, sia neutrale. Oggi questa tipologia di guerra viene chiamata anche “Infowar”, per sottolineare proprio l’importanza tattica e strategica dell’uso dell’informazione per scopi bellici. Gli esempi, in questo caso, abbondano, spaziando dalla nota “Campagna contro gli Scud” della Guerra del Golfo del 1991, alle tecniche di demonizzazione del nemico, usate, via via, contro il regime di Saddam Hussein, durante la crisi umanitaria dei profughi kosovari per promuovere la guerra contro Slobodan Milošević o, più recentemente, contro il leader libico, Mu’ammar Gheddafi.
5. Hacker Warfare: l’esercito di combattenti si identifica in un gruppo di esperti informatici che, per mezzo di varie tecniche di “hackeraggio”, va a colpire i sistemi informatizzati nemici, modificando, danneggiando o cancellando pacchetti dati di notevole importanza. Già nella primavera del 2007 il mondo cominciò a tremare di fronte al pericolo di una guerra combattuta attraverso i computer, quando l’Estonia venne duramente colpita nel suo apparato informatico, molto probabilmente per mano russa: i siti web del Parlamento, della Presidenza, di quasi tutti i Ministeri, delle principali banche, testate giornalistiche e televisioni nazionali vennero bloccati da una serie di attacchi cibernetici, tanto da portare il Paese ad appellarsi all’art. 5 del Trattato NATO. Oppure pensiamo al caso Stuxnet, che da circa un anno impegna analisti ed esperti informatici. O ancora al cosiddetto Syrian Electronic Army, che la scorsa estate, nel pieno delle rivolte in Siria, ha condotto una serie di attacchi ad alcuni siti di “propaganda anti-governativa”, lanciando azioni di defacing, modificando, cioè, i contenuti delle pagine web considerate fonte di disinformazione contro il regime di Assad.
6. Economic Information Warfare: mira a bloccare i canali di comunicazione e di informazione di rilevanza economica nemici, al fine di garantire la propria supremazia. È noto a tutti come in guerra anche le attività produttive del tutto normali in tempo di pace assumano particolare rilevanza strategica: dall’industria alimentare a quella meccanica, si passa oggi a tutte quelle attività di analisi e scambio di informazioni economico-finanziarie di vitale importanza per un Paese. Ancora una volta, il principale terreno d’azione è il web che, da un lato, ha modernizzato, velocizzato ed ottimizzato i sistemi di gestione dati, ma, dall’altro, li ha resi anche più vulnerabili ad attacchi di nuova generazione (si pensi ad un hacker che violi i database di una banca o ad un attacco elettromagnetico in grado di distruggere potenti calcolatori e tutti i dati in essi contenuti).
7. Cyberwarfare, che Libicki definisce come «una pesca miracolosa di scenari futuristici», dal momento che questa categoria rappresenta una sintesi di tutti i possibili scenari bellici che contemplano l’uso delle più moderne e sofisticate tecnologie informatiche, satellitari ed elettroniche.
Conclusioni
È ancora troppo presto pensare che le guerre non debbano più essere combattute sul campo: sarebbe uno scenario futuristico pressoché utopistico, dove l’idea di un combattimento a “morti zero” diventerebbe realtà. Occorre tuttavia accrescere la consapevolezza che, accanto alla guerra combattuta sul terreno, se ne svolgono ormai altre in parallelo: quella dell’intelligence, quella della propaganda e delle operazioni psicologiche, quella combattuta sul web ed, ultimamente, attraverso i social network. Una consapevolezza che è necessaria per sopravvivere, dal momento che la storia ha dimostrato troppe volte come sia difficile sopravvivere alle rivoluzioni degli affari militari senza uno spirito di adattamento e sperimentazione.
* Elisa Bertacin è laureata in Scienze internazionali e diplomatiche, presso la Facoltà “R. Ruffilli” di Forlì (Università di Bologna), con una tesi in Studi strategici. Dopo aver frequentato alcuni corsi di cooperazione civile-militare presso il Multinational CIMIC Group ed il Centro Alti Studi per la Difesa, ha conseguito il Master di secondo livello in “Peacekeeping & Security Studies” presso l’Università Roma Tre. Ha effettuato un periodo di ricerca presso il Centro Militare di Studi Strategici ed attualmente collabora con la sezione italiana del Mediterranean Council for Intelligence Studies e con OMeGANews, giornale dell’Osservatorio Mediterraneo di Geopolitica ed Antropologia.