A pochi giorni dalla commemorazione dei dieci anni dall’attentato alle torri gemelle, ci basta sfogliare poche pagine a ritroso per far riaffiorare nella mente un altro 11 settembre. Era il 1973 e nel profondo sud dell’America Latina prendeva vita una delle dittature più sanguinarie del ventesimo secolo. In Cile si consumano le ultime ore del Governo Allende, ma non si tratta della fine politica di un mandato, ma di una guerriglia urbana condotta dalle truppe in divisa cilena – ma con cuore a stelle e strisce – guidate dal generale Pinochet intenzionato ad assumere con la forza la guida del Paese. Ovviamente, come nella gran parte dei colpi di Stato, l’idea si tramuta in realtà e la Moneda cade sotto i colpi dell’artiglieria come Salvador Allende che non sopravvive a quest’ennesimo gesto di idiozia. Da questa data la Storia può riassumersi con dei freddi numeri: 17 anni di dittatura militare, 37000 cittadini oggetto di reclusioni clandestine e torture, oltre 3000 cittadini uccisi o scomparsi (dati aggiornati dalla commissione Velech nel 2011) per non parlare dei capitali depredati dal Generale e dai suoi protettori e protetti durante questo periodo. Nulla può risarcire tanta sofferenza, neanche la giustizia che è riuscita a concedere a Pinochet di vivere fino all’ultimo dei suoi giorni da uomo libero.
Dopo 21 anni dalla dittatura i numeri ci parlano di un repubblica liberale che ha cavalcato un boom economico di grande importanza e che porta il Cile alle porte del club delle Economie Emergenti del ventunesimo secolo: tasso di crescita del PIL del 5,30%, inflazione all’ 1,70%, tasso di crescita della produzione industriale del 3,20%, bilancia commerciale in netto miglioramento grazie all’aumento delle esportazioni. Per quest’ultimo punto, va menzionata l’importanza strategica di diversificare la propria produzione volta all’esportazione. Ciò ha reso possibile lo sviluppo di nuovi settori produttivi senza prescindere dalla crucialità del settore minerario che rappresenta ancora oggi la principale fonte di capitale straniero. Difatti la crescita economica cinese è stata accompagnata da un aumento della richiesta di rame – per il quale il principale esportatore è il Cile – portando il colosso cinese quale primo acquirente mondiale delle risorse minerarie cilene. Per capire come la diversificazione sia la prerogativa dell’economia cilena basta osservare la composizione del PIL cileno già nel 2008: 51% servizi, 35,5% industria, 5,5% agricoltura.
A questo punto viene spontaneo cercare con stupore i motivi delle proteste popolari – prima studentesche, ma ben presto rinvigorite dal fluire di altri malumori sociali – che oggi interessano la capitale cilena e non si fa fatica a scoprire come il passato decida il volgere del presente. Si contesta il presidente Piñera, ed un’attenta analisi fa capire che non si tratta di una contestazione riconducibile a mere ideologie politiche. Piñera è semplicemente il soggetto politico attuale, ma la contestazione nasce da un’amministrazione politica passiva che ha inizio nel 1990 e che si è trascinata sino ad oggi. Infatti, tutti i Governi che si sono susseguiti in Cile, non hanno apportato alcun cambiamento importante al lascito politico della dittatura di Pinochet. Se negli anni ’80 si è dato il via ad un’apertura selvaggia dei mercati e ad una conseguente privatizzazione delle attività principali della nazione, questa condizione non ha subito alcuna moderazione dagli anni ’90 in poi. Pinochet affidò le sorti economiche del Paese ai Chicago Boys – giovani economisti cileni istruiti presso l’Università di Chicago e fortemente influenzati dalla dottrina capitalistica e del libero mercato – che ben presto svilupparono una legislazione liberista e favorevole ad una forte privatizzazione di tutti i settori dell’economia cilena e senza risparmiare il sistema pensionistico e scolastico.
Prendiamo in esame quattro tematiche critiche nell’attuale Cile: il sistema scolastico, la condizione dei minatori e del mercato del rame, il sistema pensionistico e la “Ley Antiterrorista”.
Gli studenti sono stati tra i primi a manifestare la loro esasperazione per un sistema scolastico iniquo. In Cile il tasso di alfabetizzazione si attesta sul 95,7% – uno dei più alti in Sud America – ma se si va ad analizzare nel dettaglio si scopre che più il livello d’istruzione si alza, più il livello sociale degli studenti è alto. In poche parole vige un sistema che privilegia lo strato sociale più adagiato economicamente. La causa è riscontrabile in una legge introdotta negli anni ’80 che deregolamenta di fatto il sistema scolastico (LOCE – Ley Orgánica Costitucional de Enseñanza). La sua gestione viene affidata agli enti locali che non riescono a finanziare le scuole – solo per un 25% coprono direttamente i costi – e perciò si affidano a tasse scolastiche molto alte. Tale meccanismo agevola le aziende creditizie che o concedono prestiti a tassi molto alti alle famiglie per sostenere gli studi dei propri figli, o acquisiscono di fatto le scuole privatizzandole e rendendo l’accesso inaccessibile ai ceti meno ricchi della popolazione. In definitiva uno studente universitario di ceto medio-basso o abbandona gli studi per gli inaccessibili costi o, una volta laureato, si ritrova con un debito non indifferente sulle spalle. Da qui l’esasperazione degli studenti che chiedono un risanamento della scuola pubblica.
A tale protesta si sono uniti i lavoratori delle miniere che per lo più vivono in condizioni precarie senza garanzie ne dal punto di vista salariale – la retribuzione è nettamente inferiore a quella dei lavoratori a tempo indeterminato – ne dal punto di vista sanitario e di accesso all’istruzione – sia per loro che per i propri figli. Si può dire che il settore minerario è stato quello che maggiormente, dal ’73 ad oggi, ha subito una forte privatizzazione portando il 70% delle risorse di rame, in mano ai privati relegando alla Codelco (Corporaciòn del Cobre) il rimanente 30%. Tali dettagli portano ben presto ad una più profonda analisi del PIL, che nasconde una redistribuzione delle ricchezze iniqua e inadatta per uno sviluppo reale dell’intera Nazione.
Resta emblematica, parlando del settore minerario, la sorte dei 33 minatori che poco più di un anno fa hanno tenuto con il fiato sospeso il mondo intero. Ancora oggi tutti ricordiamo il loro salvataggio dopo 69 giorni di “prigionia” forzata nelle profondità della miniera di San Jose, ma non tutti sanno che gli stessi minatori – dei quali la metà risulta oggi disoccupata e solo 4 sono rientrati a lavorare in una miniera – sono in causa con lo Stato per non aver ricevuto la pensione di 430 $ tanto pubblicizzata a livello mediatico da Piñera subito dopo il salvataggio.
Ed eccoci alla terza tematica: il sistema pensionistico. Le proteste degli ultimi due mesi volgono la loro attenzione anche alla necessità di un sistema pensionistico pubblico e alla rimozione di privilegi fiscali per la classe più agiata della popolazione. Anche qui ci troviamo dinanzi ad un lascito dei Chicago Boys che nel 1980 introdussero il Sistema a Capitalizzazione Individuale. Con tale sistema ogni lavoratore va a formare la propria pensione futura versando obbligatoriamente un 10% del proprio salario – di per sè non alto – in un conto apposito presso un istituto assicurativo privato. Il lavoratore ha facoltà di versare un ulteriore 10% e di scegliere il proprio AFP (Amministratore dei Fondi Pensione). L’AFP reinveste il deposito in azioni – rispettando vincoli riguardanti il rischio e di diversificazione del portafoglio – andando in concreto a generare un flusso di profitti per la stessa agenzia assicurativa. Inoltre, come in ogni libero mercato, si genera un’alta concorrenza tra le varie agenzie che per conquistare nuovi clienti, propongono margini di profitto poco veritieri.
Per concludere va citata la Ley Antiterrorista voluta da Pinochet e che colpisce la popolazione indigena Mapuche cioè il 25% della popolazione cilena. Con tale legge il Generale voleva colpire gli indios che rivendicavano i propri diritti. Dal 1990 ad oggi, la passività dei Governi cileni ha fatto si che molti processi si concludessero in maniera ingiusta per gli indios che oggi, esausti, reclamano un trattamento innanzi alla legge, identico a quello destinato al 75% dei loro connazionali.
In definitiva, allo stato attuale si pongono due scenari possibili di fronte al sistema socio-politico cileno:
- un processo riformista volto ad accompagnare la popolazione in uno sviluppo, si sostenuto, ma coadiuvato da una maggiore equità nella distribuzione dei profitti che ne scaturiscono;
- un processo rivoluzionario destinato a cambiare un sistema economico e politico iniquo per la popolazione.
Ciò che accadrà dipenderà esclusivamente dalla reazione della classe politica alle esigenze reali dei cileni. Se continuerà a sopravvivere il sistema legislativo ereditato dalla dittatura di Pinochet, il secondo scenario sarà il più plausibile ed il meno auspicabile dato che comporterebbe l’arresto dello sviluppo economico sin qui ottenuto. Per il Cile è giunto il momento di chiudere definitivamente la porta del passato, per poter godere pienamente del florido futuro che potenzialmente lo attende.
Come disse Salvador Allende l’11 settembre del 1973: “…il domani sarà del popolo. Sarà dei lavoratori. L ‘umanità avanza verso la conquista di un mondo migliore…”.
William Bavone è laureato in Economia Aziendale (Università degli Studi del Sannio, Benevento)